SIAMO IN GUERRA

I terribili episodi di Parigi obbligano ad alcune inevitabili riflessioni. Non c’é sicurezza di fronte ad un terrorismo che non conosce limiti e le cui infiltrazioni sono ormai radicate.
Parigi- Fare le tre scimmiette, chiudere cioè gli occhi, le orecchie e la bocca, non ha più senso. Siamo ufficialmente in guerra e probabilmente non da queste ultime ore, quelle terribili che hanno visto ancora una volta soccombere Parigi, ma già da molto tempo. Forse dall’11 settembre 2001 quando gli aerei del terrore squarciarono le torri gemelle di New York.
Da quel giorno si sono susseguiti episodi pseudo diplomatici, interventi militari definiti “guerra preventiva”. Forze militari impegnate a riportare l’ordine (con quanta ingerenza e con quanta arroganza è da stabilire) dove probabilmente non si vuole l’ordine.
Quanto accaduto a Parigi, pensiamo, era ampiamente prevedibile. E non perché abbiamo un turbante in testa e una palla di vetro davanti a noi. Semplicemente perché abbiamo visto purtroppo in questi ultimi mesi, quanto il sedicente gruppo Isis, possa spingersi oltre ogni previsione. E quanto, dobbiamo dirlo, l’Europa e il mondo intero, siano bersagli facili, inermi, senza alcuna difesa.
I terroristi, i kamikaze, possono muoversi liberamente, ovunque, anche in luoghi come uno stadio dove si tiene un incontro di calcio o addirittura su una spiaggia come accaduto in giugno in Tunisia. E, non vogliamo essere facili profeti, se affermiamo che non abbiamo ancora visto il peggio. Perché, in questo caso, non c’è limite al peggio.
Non si può sfuggire all’onda barbarica rappresentata da questo esercito composto da persone, sì proprio persone come noi, pronte a tutto, pronte ad uccidere e ad uccidersi.
La decisione di Parigi, di chiudere le frontiere è, dispiace dirlo, giusta. Mai avremmo pensato di poter fare un’affermazione di questo tipo, ma al punto in cui siamo, è quantomeno, un punto di inizio. A cui devono seguire immediati, radicali controlli dei territori, provvedimenti politici, decisioni anche impopolari.
Perché non è pensabile dover rinunciare a vivere. Ed è proprio questo che sta accadendo. Nulla è più sicuro. Prendere un qualsiasi mezzo di trasporto, andare ad un concerto, allo stadio, semplicemente passeggiare. Ad estremi episodi si deve rispondere con estremi provvedimenti. Resettare per pulire, azzerare per continuare a sperare in una convivenza pacifica.



Il Giubileo. Immaginiamo lo spirito religioso che ha animato il Vaticano a proclamare il Giubileo della Misericordia. Dalle stanze pontificie si inneggia al “non soccombere alla paura”. Giusto. Ma qui si tratta di essere andati oltre. E se Parigi è stata facile bersaglio più volte, Roma non è da meno. Organizzare un Giubileo adesso, con le mille problematiche che attanagliano la Città Eterna no, non era proprio il caso.
Non siamo più ai tempi del 2000 quando gli scenari mondiali, oltre quello romano, erano completamente diversi. Auspichiamo un Giubileo sereno, senza alcuna scossa emotiva, se non quella delle Misericordia appunto, della pace, della serenità. Del Giubileo del 2000 ricordiamo in particolare, i giovani presenti alla spianata di Tor Vergata. E qui il pensiero va ad altri giovani che oggi imbracciano un kalashnikov indossano una cintura con esplosivo che li riduce in polvere.
La strategia dell’Isis non è immaginabile. Una considerazione che dovrebbe far pensare a quanto si è smarriti; un dato di fatto che è anche la forza di questo gruppo, di questa organizzazione le cui mosse sono imprevedibili.
Roma, l’Italia, l’Europa, il mondo intero, nei secoli hanno superato ere forse peggiori. Ma questo periodo, questi tempi lo sono forse di più paradossalmente perché viviamo nel cosiddetto villaggio globale, dove nello stesso momento in cui avviene un episodio, la notizia fa il giro del Globo. È questo gioca purtroppo a favore dei terroristi che così fanno propaganda.
Non abbiamo soluzioni, possiamo solo fare considerazioni, in libertà e con coscienza. Possiamo solo affermare che tutti, nessuno escluso, anche in Vaticano, dobbiamo abbassare i toni. Che ognuno, nel proprio ambito, si faccia il proprio dovere. Dai cronisti ai politici, dai religiosi alle forze dell’ordine. Tutti, ognuno con il proprio mestiere.
Emanuela Sirchia