CORTO CIRCUITO

I preoccupanti fatti di Capodanno a Colonia si aggiungono agli attentati parigini di fine anno e agli innumerevoli episodi che si registrano in tutto il mondo. È il momento di riflettere
Roma- Integrazione, multicultura, solidarietà, tolleranza. Sono soltanto alcuni tra i termini forse più diffusi degli ultimi anni. I terrificanti fatti di Parigi dello scorso novembre e i più recenti la notte di Capodanno a Colonia, ne hanno raddoppiato l’uso forse addirittura, l’abuso.
Sociologi, psicologi, insegnanti, giornalisti, politici. Tutti, ognuno nel proprio ambito, si sono misurati con parole che hanno il loro peso specifico e che troppo spesso sono pronunciati a cuor leggero.
Mai come in questo periodo, nei salotti televisivi, c’è stata una vera e propria gara per accaparrarsi un Imam o comunque una persona di fede islamica a commento dei fatti parigini. Ascoltare chi di quella fede vive ogni giorno è quanto mai utile per studiare e approfondire eventi provocati da sedicenti appartenenti a quella stessa religione.
Dopo gli attentati parigini, soprattutto da parte di alcuni politici, da quegli stessi salotti è stato chiesto agli ospiti islamici di manifestare e apertamente dissociarsi dai terroristi. Ed è stato fatto anche in maniera aggressiva, come purtroppo molti politici sono abituati a fare per strappare l’applauso del pubblico presente in studio, come fa un attore consumato sulla scena.
Stessa cosa per i fatti di Colonia. Dove un nutrito gruppo di immigrati e molti con lo status di rifugiati, hanno letteralmente preso la piazza principale della città tedesca, trasformandola in una nuova Piedigrotta con tanto di bomboni. Ma quel che è più grave, hanno offeso e abusato di giovani donne. E adesso ci si interroga sul perché.
Ma la domanda vera è: a Roma come a Parigi, a Londra come a Bruxelles o a Colonia, c’è veramente integrazione? È sufficiente vivere nella stessa città, prendere gli stessi mezzi pubblici, respirare la stessa aria per essere integrati, solidali e pregni del concetto di multicultura? Un discorso che non riguarda soltanto gli immigrati ma anche noi che li accogliamo.
La verità è che, nel corso degli ultimi decenni, soprattutto nelle capitali europee, sono nati quartieri-ghetti dove spesso, se non sempre, crescono rabbia e disagio sociale, distacco dalla realtà contestuale e chiusura culturale. Vivere la propria identità, sia essa religiosa o di qualsiasi altra natura, non vuol dire questo. Ed il contrario è proprio, integrazione. Che è differente da integralismo.
Vivere a tutto tondo gli insegnamenti della propria religione e, allo stesso tempo, guardare scorrere la quotidianità, le contraddizioni, gli opposti al proprio credere, quelli che vengono considerati sacrilegi, crea, a nostro avviso un corto circuito.
Quanti tra gli islamici, sono veramente inseriti con la mente e con il cuore nel nostro strampalato sistema? Come si fa ad essere integralisti e allo stesso tempo condividere e accettare atteggiamenti e pensieri che vanno contro il proprio credo?
Le notizie che riguardano i protagonisti degli attentati parigini ci hanno raccontano non di terroristi provenienti da un altro pianeta ma di cittadini belgi soprattutto. Nati in Belgio, a Bruxelles, non una cittadina qualsiasi ma la sede dell’Unione Europea!
La “legge” dell’immigrazione (e gli italiani ne sono buoni testimoni) vuole che si emigri per migliorare la propria condizione, per trovare un lavoro. O per fuggire da una guerra.
Cosa se non queste ipotesi hanno portato in Europa esponenti del mondo islamico? Viceversa la risposta sarebbe terribile.
Non è integrazione, ad esempio, dare licenze commerciali solo ad una etnia o a più etnie, escludendo la comunità del posto. Così c’è solo chiusura e dove c’è chiusura c’è ignoranza intesa come non conoscenza e quindi non cultura.
L’altra questione è il rispetto reciproco delle regole e quindi l’adattamento alla convivenza, il colloquio, la tolleranza. Per tutti.
Viceversa è corto circuito.
Emanuela Sirchia